E’ costituzionalmente legittimo l’art. 32, co. 5, del Collegato Lavoro

Dopo la sentenza n. 303 del 2011, la Consulta è tornata ad esprimersi, con sentenza n. 226 del 25 luglio 2014, in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010, come interpretato in via autentica dall’art. 1, co. 13, L. n. 92/2012, con cui è stata individuata un’indennità onnicomprensiva per ristorare l’intero pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, nel periodo tra la scadenza del termine illegittimamente apposto ad un contratto di lavoro e la data della pronuncia con cui è stata disposta la ricostruzione del rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, la Corte Costituzionale si è pronunciata a seguito del rinvio disposto dal Tribunale di Velletri a seguito della dichiarazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della suddetta disposizione rispetto agli artt. 11 e 117 Cost., sul convincimento che il suddetto art. 32, co. 5, avrebbe determinato un arretramento del livello generale di tutela previsto in favore dei lavoratori a fronte di successive stipulazioni di un contratto a tempo determinato, in contrasto, dunque, con il principio di non regresso sancito della clausola 8.3 dell’accordo quadro sul lavoro a termine recepito con la direttiva comunitaria n. 1999/70/CE a sua volta recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 368/2001.

La Corte Costituzionale, nel dichiarare la legittimità della norma contestata, ha rilevato che il principio di non regresso sopra richiamato non “preclude in via generale modifiche che possano essere ritenute peggiorative del trattamento dei lavoratori a tempo determinato allorché attraverso esse il legislatore nazionale persegua obiettivi diversi dalla attuazione dell’accordo quadro” succitato.

Analogamente a quanto rilevato con la suddetta sentenza n. 303/2011, anche nella decisione in esame la Corte Costituzionale ha così chiarito che “la scelta di prevedere un’indennità forfettaria proporzionata risponde all’esigenza di «tutela economica dei lavoratori a tempo determinato più adeguata al bisogno di certezza dei rapporti giuridici tra tutte le parti coinvolte nei processi produttivi anche al fine di superare le inevitabili divergenze applicative cui aveva dato luogo il sistema previgente». La finalità perseguita con l’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, dunque, non era quella di recepire ed attuare l’accordo quadro in materia di contratto a tempo determinato, bensì quella di assicurare la certezza dei rapporti giuridici, imponendo un meccanismo semplificato e di più rapida definizione di liquidazione del danno (evitando accertamenti probatori in ordine alla mora accipiendi, all’aliunde perceptum, al percipiendum, ecc.) a fronte della illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro. Analogo obiettivo è alla base della norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012”.