Il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti

Con il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti viene superata la vecchia concezione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori per cui, a fronte dell’illegittimità del licenziamento, poteva essere disposta in via giudiziaria la reintegra del lavoratore. Ed, infatti, le nuove disposizioni prevedono, in luogo della reintegra, l’erogazione di una indennità la cui misura varia a seconda dell’anzianità di servizio maturata dal lavoratore.
Detto regime riguarderà i lavoratori che rivestono la “qualifica di operai, impiegati o quadri” (rimanendo, pertanto, esclusi i dirigenti) assunti con contratto a tempo indeterminato a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, ossia dal 7 marzo 2015. Inoltre, il medesimo regime di tutela si applicherà anche nelle ipotesi di conversione del contratto a tempo determinato o dell’apprendistato successivi alla succitata data di entrata in vigore della norma. Si viene così a creare un duplice regime di tutela a seconda della data di assunzione del dipendente.
Pare evidente la finalità del Legislatore di incentivare le assunzioni da parte delle aziende utilizzando questo ulteriore strumento che, in questa fase particolarmente critica della situazione economica generale, va ad associarsi ai rilevanti sgravi contributivi di cui alla Legge di Stabilità per il 2015 al fine di dare una scossa al sistema economico-produttivo. Così esposta in chiave generale la ratio della disposizione, va tuttavia precisato che la tutela reintegratoria rimane in talune specifiche ipotesi derogatorie, come evidenzieremo di seguito.

IPOTESI DI TUTELA REINTEGRATORIA
Come premesso, le nuove previsioni, come individuate all’art. 2, lasciano sostanzialmente immutata la tutela reintegratoria nelle ipotesi di licenziamento discriminatorio, prevalentemente disciplinato all’art. 15, L. n. 300/1970 e s.m.i., disposto per motivazioni connesse all’aderenza o partecipazione attiva ad un’associazione sindacale, alla lingua, al sesso, ad eventuali handicap, all’età, all’orientamento sessuale ovvero a convinzioni personali, nonché di natura politica, religiosa, razziale. Tale licenziamento, infatti, a prescindere dal requisito dimensionale dell’azienda di appartenenza, dovrà considerarsi nullo ed il lavoratore potrà beneficiare, come avviene tuttora ai sensi dell’art. 18, comma 1, L. n. 300/1970, della tutela reintegratoria.
Il suddetto regime di tutela troverà, inoltre, applicazione in caso di licenziamento dichiarato nullo nei casi espressamente previsti dalle previsioni di legge (ad es. gravidanza, matrimonio, ecc.) oppure inefficace poiché disposto in forma orale o ancora nell’ipotesi in cui venga accertato “il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore”.
Peraltro, a seguito dell’ordine di reintegrazione statuito dal giudice, il rapporto di lavoro si intenderà comunque risolto laddove il dipendente illegittimamente licenziato non provveda a riprendere servizio entro trenta giorni dall’invito in tal senso formulato dal datore di lavoro.
Con sentenza il datore di lavoro verrà, altresì, condannato a risarcire il danno subìto dal lavoratore mediante il pagamento di una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto maturata nel periodo compreso dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra (salvo l’aliunde perceptum) ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il periodo di estromissione dal lavoro.
La suddetta indennità non potrà comunque essere inferiore a cinque mensilità. Viene, inoltre, prevista per il dipendente che abbia ottenuto una sentenza di reintegra la possibilità di richiedere, insieme al suddetto risarcimento del danno, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, non soggetta a prelievo contributivo, in luogo ed in alternativa alla stessa reintegra.

LICENZIAMENTI PER GIUSTIFICATO MOTIVO O PER GIUSTA CAUSA
L’art. 3 del decreto disciplina le generali ipotesi di licenziamento per giustificato motivo o per giusta causa in relazione alle quali, ove il giudice accerti che non ricorrono gli estremi giustificativi, verrà applicata la tutela economica di cui è fatto sopra cenno e, pertanto, lo stesso giudice, oltre a dichiarare estinto il rapporto alla data del licenziamento, condannerà il datore di lavoro al pagamento di una indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
Tale indennità non potrà comunque essere inferiore a quattro e superiore a ventiquattro mensilità della stessa retribuzione. In deroga a quanto sopra previsto, troverà applicazione la tutela reintegratoria esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui venga “direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore”. Tale previsione, tesa a far emergere il fatto materiale nella sua effettiva oggettività, va accompagnata al venire meno di ogni rilevanza della valutazione giudiziale in ordine alla eventuale sproporzione dello stesso fatto, così da permettere il drastico contenimento della discrezionalità di giudizio da parte del giudice e finanche dello stesso contenzioso in materia. In tale ipotesi, il datore, insieme alla reintegra del lavoratore, sarà condannato a corrispondere in favore di quest’ultimo, a titolo risarcitorio, una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto nel periodo compreso tra il giorno del licenziamento e la data della reintegra – salvo l’aliunde perceptum e percipiendum – oltre al relativo versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Tale indennità, per il periodo antecedente la sentenza di reintegra, non potrà comunque superare le dodici mensilità.
Dalla disciplina appena considerata, da intendersi derogatoria rispetto al nuovo regime generale di natura indennitaria, dovrebbe comunque rimanere escluso il licenziamento per superamento del periodo di comporto, cui, pertanto, dovrebbe trovare applicazione la sola tutela indennitaria. Anche nelle suddette ipotesi di applicazione della tutela reintegratoria, il lavoratore potrà richiedere, in alternativa rispetto a quest’ultima, il riconoscimento dell’ulteriore indennità risarcitoria, pari a quindici mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, disciplinata al terzo comma dell’art. 2 del decreto in esame. Occorre ancora evidenziare che, in forza di quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 3, ai nuovi assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti non si applicherà la procedura di conciliazione prevista dall’art. 7, L. n. 604/1966, per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (motivati per ragioni organizzative ed economiche). A questi ultimi, è bene ribadirlo, troverà applicazione la sola tutela indennitaria, superando così anche le modifiche apportate dalla cd. Riforma Fornero che aveva conservato la tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui veniva giudizialmente accertato che il fatto posto a base del licenziamento fosse “manifestamente insussistente”. Quella indennitaria, pertanto, salve le residue ipotesi derogatorie rimaste e sopra richiamate, sembra affermarsi quale forma di tutela principale in caso di licenziamento illegittimo, così da garantire alle imprese ed agli operatori maggiore certezza giuridica e soprattutto una immediata quantificazione delle conseguenze economiche del licenziamento attraverso la parametrazione all’anzianità di servizio.

VIZI FORMALI E PROCEDURALI DEL LICENZIAMENTO
Risulterà applicabile la sola tutela indennitaria anche nell’ipotesi in cui il licenziamento sia stato intimato senza specifica motivazione, in violazione dell’art. 2, comma 2, L. n. 604/1966, o qualora non sia stato osservato il procedimento disciplinare previsto dall’art. 7, L. n. 300/1970 (art. 4). In tali casi, il rapporto di lavoro verrà dichiarato estinto alla data del licenziamento ed al lavoratore verrà riconosciuta una indennità, non soggetta a contribuzione previdenziale, pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio; la stessa non potrà in ogni caso risultare inferiore a 2 e superiore a 12 mensilità della suddetta retribuzione.

REVOCA DEL LICENZIAMENTO
Ai sensi dell’art. 5 del succitato D.Lgs. n. 23/2015, il regime sanzionatorio destinato alle “nuove assunzioni” di cui all’art. 1 non troverà applicazione laddove il licenziamento venga revocato, sempre che ciò avvenga entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’avvenuta impugnazione. In tale ipotesi, il rapporto di lavoro si intenderà ripristinato senza soluzione di continuità ed il lavoratore avrà diritto a ricevere il trattamento retributivo maturato nel periodo antecedente la revoca, non trovando applicazione i regimi sanzionatori previsti nel medesimo decreto.

OFFERTA DI CONCILIAZIONE
Particolare rilevanza assume, specie rispetto alle evidenti finalità di semplificazione delle conseguenze discendenti da risoluzione unilaterale dei rapporti di lavoro nonché di deflazione del relativo contenzioso, l’offerta di conciliazione (art. 6), attraverso cui il datore di lavoro, in caso di licenziamento di soggetti assunti dopo l’entrata in vigore del decreto, può offrire agli stessi, entro i termini per l’impugnazione stragiudiziale ed in sede “protetta”, un importo, non sottoposto a prelievo fiscale e previdenziale, pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità, da corrispondere mediante consegna al lavoratore di assegno circolare.
Tale offerta è dunque basata su una scelta facoltativa del datore e non costituisce più un obbligo come avveniva invece in costanza della Riforma Fornero limitatamente ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Tale procedura conciliativa non costituisce pertanto uno strumento per prevenire il licenziamento, ma risulta finalizzata ad evitare l’instaurazione di una controversia dopo che il licenziamento sia stato già comminato. In tal senso, è opportuno evidenziare come sia stato espressamente previsto che l’accettazione del suddetto assegno circolare da parte del lavoratore abbia l’effetto di estinguere il rapporto di lavoro alla data del recesso e di configurare la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Tale offerta, dunque, laddove effettivamente accettata, dovrebbe permettere di porre definitivamente fine ad ogni controversia, dando certezza, giuridica ed economica, alla risoluzione dei rapporti tra le parti interessate.
Laddove il datore di lavoro, al fine di incentivare il dipendente licenziato ad una soluzione conciliativa, offra, a titolo di indennità, un numero maggiore di mensilità rispetto a quello previsto ex lege per ogni annualità di servizi, tale maggiorazione dovrebbe essere tassata secondo il regime ordinario.

PREVISIONI RILEVANTI IN ORDINE ALLA QUANTIFICAZIONE DELLE INDENNITÀ
All’art. 8 del decreto, in ordine al computo ed alla misura delle indennità e degli importi individuati ai suddetti artt. 3, 4 e 6, viene stabilito che gli stessi vadano riproporzionati in caso di “frazioni d’anno di anzianità di servizio” e, a tal fine, le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni verranno computate “come mese intero”.
In termini analoghi, il precedente art. 7 dispone che, in caso di passaggio del lavoratore dall’appaltatore uscente a quello subentrante, l’anzianità di servizio da questi maturata verrà funzionalmente computata sull’intero periodo in cui lo stesso lavoratore sia stato comunque impiegato nell’attività appaltata.
Ed ancora, si segnala che, con riferimento alle imprese con meno di 15 dipendenti – per le quali risultava già esistente il solo regime di tutela obbligatoria – l’importo delle indennità previste in caso di licenziamenti, economici o disciplinari, dovrà intendersi, ai sensi dell’art. 9, “dimezzato” rispetto a quanto invece riconosciuto per i lavoratori delle imprese di maggiori dimensioni, e non potrà in ogni caso superare il limite delle sei mensilità di retribuzione.
In quest’ultima previsione viene, altresì, stabilito che devono intendersi assoggettate alla generale disciplina del decreto in esame anche le cd. associazioni di tendenza.

DISCIPLINA RELATIVA AI LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Con riferimento ai licenziamenti collettivi, disposti ai sensi e per gli effetti degli artt. 4 e 24, L. n. 223/1991, nei confronti di lavoratori soggetti alle previsioni del decreto in esame, va rilevato come l’art. 10 preveda che agli stessi trovi applicazione la tutela reintegratoria, di cui all’art. 2, solo in caso di violazione della forma scritta; la tutela indennitaria, di cui all’art. 3, comma 1, viene invece estesa, con finalità di uniformità del regime di tutela tra licenziamenti individuali e collettivi, alle diverse ipotesi di violazione delle procedure richiamate all’art. 4, co. 12, L. n. 223/1991 o dei criteri di scelta regolati dal successivo art. 5, co. 1

ASPETTI DI RILEVANZA PROCESSUALE
Rispetto al regime processuale, è stato ancora stabilito che, per i licenziamenti intimati nei confronti di lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, non troverà più applicazione il rito speciale introdotto dalla Riforma Fornero (art. 1, co. 48-68, Legge n. 92/2012). Salve nuove eventuali disposizioni in merito, detti licenziamenti potranno essere impugnati giudizialmente secondo i modi e le forme del regime generale antecedente il 2012 (art. 409 e ss. c.p.c.).