Diffamazione mediante Facebook

In materia di utilizzo di “social network” da parte dei lavoratori, la sezione penale della Suprema Corte ha confermato, con sentenza n. 13604 del 24 marzo 2014, la decisione di merito con cui un lavoratore era stato condannato per diffamazione pluriaggravata a seguito della diffusione sul proprio profilo Facebook di scritti denigratori nei confronti di alcuni colleghi, senza peraltro prestare alcuna attenzione al principio di continenza, visto che gli stessi scritti contenevano aspetti di palese irrisione travalicanti la “mera critica ai fatti evocati”.


In una fattispecie analoga, la stessa Corte, con sentenza n. 16712 del 16 aprile 2014, condannando un lavoratore che aveva pubblicato sempre sul proprio profilo Facebook pesanti giudizi nei confronti di un collega che era succeduto a lui nelle funzioni precedentemente esercitate, ha chiarito che una simile modalità di pubblicazione rende tali giudizi accessibili “ad una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network ed anche per le notizie riservate agli ‘amici’ ad una cerchia ampia di soggetti”. Particolarmente rilevante, inoltre, risulta la statuizione, formulata in quest’ultima decisione, per cui “il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie, la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due”.