La registrazione di una conversazione costituisce fonte di prova solo in caso di mancato disconoscimento da parte del datore

Con sentenza n. 21898 del 7 settembre 2018, la Corte di Cassazione ha affermato che un lavoratore possa produrre in giudizio la registrazione su nastro magnetico di una conversazione per dimostrare la violenza morale subita dal datore di lavoro per indurlo a dimettersi dal rapporto di lavoro. Infatti, secondo la Corte Suprema, tali file costituiscono fonti di prova ai sensi dell’articolo 2712 c.c. nel caso in cui sia parte in causa almeno uno dei soggetti tra i quali si svolge la conversazione. Ulteriore condizione ai fini della prova è che colui contro il quale la conversazione è prodotta non abbia contestato che la conversazione sia realmente avvenuta o che abbia avuto un contenuto diverso rispetto a quello risultante dal nastro, poiché il disconoscimento da parte dell’azienda deve essere esplicito, specifico e circostanziato, nonché supportato da elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà dei fatti e quella riprodotta.