La Corte di Giustizia si pronuncia sul rinnovo dei contratti di lavoro a termine

Pronunciandosi sulla legittimità di un provvedimento normativo emanato dal Parlamento greco, la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 4 luglio 2006 (C-212/2004), ha stabilito che la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE – laddove è stato previsto che per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri dovranno introdurre una o più misure relative a: 1) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; 2) la durata massima totale dei contratti o rapporti a tempo determinato successivi; 3) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti rapporti – “deve essere interpretata nel senso che essa osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che sia giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro. Al contrario, la nozione di ragioni obiettive ai sensi della detta clausola esige che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti di lavoro, quale previsto dalla normativa nazionale, sia giustificato dall’esistenza di elementi concreti relativi in particolare all’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo esercizio”. Inoltre, in termini che potrebbero assumere rilevanza anche nel nostro ordinamento, la medesima Corte di Giustizia ha precisato che la clausola 5, n. 1, lett. a) “deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale (…) la quale stabilisce che soltanto i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato non separati gli uni dagli altri da un lasso temporale superiore a 20 giorni lavorativi devono essere considerati successivi ai sensi della detta clausola”.
La Corte di Giustizia, infine, ha stabilito, con riferimento all’utilizzo del contratto a tempo determinato nel pubblico impiego, che “qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato non preveda altra misura effettiva per evitare e, nel caso, sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, il detto accordo quadro osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare fabbisogni permanenti e durevoli del datore di lavoro e devono essere considerati abusivi”.