Grandi imprese in crisi e cessione di azienda

Con la sentenza n. 2523 del 9 febbraio 2016, la Suprema Corte ha statuito che, a differenza di quanto si verifica per la cessione di azienda o di un suo ramo disciplinata dall’art. 2112 c.c., per i dipendenti delle grandi imprese in crisi, disciplinata dall’art. 47, co. 5, L. n. 428/1990, il diritto a transitare alle dipendenze del cessionario non sorge solo per effetto della cessione, ma trova il suo titolo nell’accordo raggiunto dalle imprese interessate alla cessione con le organizzazioni sindacali, accordo che può stabilire anche che il personale eccedentario resti alle dipendenze dell’alienante.

Peraltro, il suddetto accordo, avente ad oggetto la ricollocazione del personale interessato dalla cessazione dell’attività di una delle due imprese e contenente l’impegno della subentrante ad assumere alle sue dipendenze una determinata percentuale dei dipendenti messi in mobilità, va qualificato come contratto a favore di terzi, che fa sorgere in capo ai beneficiari, se individuati o individuabili, un diritto da opporre alla impresa promittente. Da detta qualificazione discende che, qualora l’accordo non indichi nominativamente i dipendenti da assumere ma si limiti solo a stabilire i criteri per la individuazione dei lavoratori che dovranno transitare alle dipendenze dell’imprenditore subentrante, il titolo della pretesa che il singolo lavoratore fa valere nei confronti di quest’ultimo non è costituito solo dall’accordo collettivo, ma anche dal possesso dei requisiti stabiliti dalle parti contraenti per la individuazione dei terzi beneficiari.

E’ quindi onere del lavoratore che agisca in giudizio per rivendicare il suo diritto all’assunzione, dimostrare che, sulla base dei criteri indicati nell’accordo, la scelta doveva ricadere sulla sua persona.

Sulla scorta del suddetto principio, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un lavoratore – dipendente di una società sottoposta ad amministrazione straordinaria – che sosteneva il proprio diritto all’assunzione in forza di un accordo sindacale con cui la società subentrante si impegnava ad assumere 125 lavoratori nel rispetto dei criteri di anzianità e carichi di famiglia.

La Corte, infatti, da un lato ha reputato che il lavoratore non avesse dimostrato la fonte, legale o contrattuale, del suo diritto – costituita non solo dall’accordo intervenuto fra le imprese e le organizzazioni sindacali, ma anche dal possesso dei requisiti che davano titolo alla assunzione – dall’altro ha ritenuto provato il corretto inserimento del lavoratore nella graduatoria relativa al profilo professionale effettivamente svolto da quest’ultimo e, dunque, il rispetto da parte delle società resistente dei criteri indicati nell’accordo sindacale.