L’utilizzo di informazioni riservate è giusta causa di licenziamento

La Suprema Corte, nella sentenza n. 11056 del 28 maggio 2015, ha affermato che il decreto di archiviazione di un procedimento penale non è equiparabile ad una sentenza di assoluzione definitiva e che, pertanto, non può avere autorità di cosa giudicata nel procedimento relativo al licenziamento disciplinare di un dipendente. In ogni caso, gli accertamenti penali non precludono una diversa valutazione dei medesimi fatti ai fini del procedimento disciplinare. I due procedimenti, infatti, hanno finalità diverse e diversi, pertanto, possono essere i metri di giudizio applicabili.

La Corte ha nuovamente affermato che la nozione di giusta causa è di natura legale e che, pertanto, i giudici non sono vincolati alle previsioni della contrattazione collettiva, potendo qualificare come giusta causa un comportamento non previsto come tale dalla contrattazione collettiva ed escludere che costituisca giusta causa un comportamento previsto come tale nelle esemplificazioni della contrattazione collettiva. In particolare, l’uso di informazioni riservate da parte del lavoratore per perseguire scopi personali (nel caso di specie, il dipendente aveva suggerito a un cliente della banca di liquidare i capitali immobilizzati presso la banca per finanziare una società terza), può anche non integrare gli estremi di un reato, ma gli estremi della sussistenza della giusta causa di licenziamento ove sia accertato che l’inadempimento del lavoratore sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.