Whistleblowing (D.D.L. 2208/2016)

Il recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, presentato alla Camera in data 15 ottobre 2015 e approvato il 21 gennaio 2016, è attualmente all’esame della Commissione permanente “Affari Costituzionali” del Senato. Il Disegno di legge, allo stato, ha carattere programmatico in quanto composto di soli due articoli che regolamentano l’istituto del “Whistleblowing”, ovvero la segnalazione effettuata da un lavoratore (anche detto “Whistelblower”) che, nel corso della propria attività lavorativa, viene a conoscenza o rileva un illecito in grado di danneggiare clienti, colleghi, azionisti, o la reputazione dell’azienda/ente per il quale lavora. I destinatari delle suddette segnalazioni sono l’autorità giudiziaria, la Corte dei Conti, l’ANAC, nonché un responsabile appositamente nominato in ogni ente pubblico o azienda con almeno 15 dipendenti. L’istituto del “Whistleblowing” non è però una novità nel panorama del diritto comunitario dove, in materia di abusi del mercato finanziario, l’art. 32, Regolamento n. 596/2014, disciplina le modalità di segnalazione all’autorità di vigilanza competente delle violazioni effettive o potenziali del regolamento medesimo commesse da una società o un ente quando e se rilevate da un suo dipendente. Stessa cosa dicasi per quanto riguarda l’ordinamento giuridico italiano in cui l’istituto del “Whistleblowing” era già stato introdotto dall’art. 6, D.lgs. 231/2001, da considerarsi in questo ambito quale vera e propria normativa paradigmatica.

Entrando nello specifico del D.D.L. in esame, questo apporta numerose modifiche all’art. 54-bis, D.lgs. 165/2011, e, come anticipato, all’art. 6, D.lgs. 231/2001, con la finalità di introdurre un sistema di tutele in grado di incentivare il lavoratore a segnalare eventuali irregolarità all’autorità predisposta, senza rischi di ripercussioni nei suoi confronti da parte del datore di lavoro (segnalato).

whistleblowing
Per quanto riguarda la possibile novella all’art. 54-bis, D.lgs. 165/2011, viene stabilito che “il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, in buona fede segnala al responsabile della prevenzione della corruzione […], ovvero all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione”. Il dipendente pubblico, in questo modo, viene tutelato da possibili rivalse dei suoi superiori gerarchici, siano essi dotati o meno di poteri sanzionatori e/o colleghi, in quanto la riservatezza riguardo l’identità del whistleblower serve proprio ad evitare fenomeni di straining e/o di mobbing. Nell’eventualità in cui vengano adottate misure discriminatorie nei confronti del lavoratore whistleblower da parte del datore, il comma 6 dispone che “l’ANAC applica al responsabile […] una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 €”, mentre “Qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi a quelle di cui al comma 5, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 20.000€”. Diversamente, qualora si accerti che dietro la segnalazione si celano intenti fraudolenti del segnalante, tali da integrare i reati di calunnia o diffamazione, il regime di tutele viene meno e nel caso in cui “al termine del procedimento penale, civile o contabile ovvero all’esito dell’attività di accertamento dell’ANAC” si accerti l’infondatezza della segnalazione, al lavoratore “può essere irrogata la misura sanzionatoria anche del licenziamento senza preavviso”.

Nello stesso senso, dispone la novella all’art.6, D.lgs. n. 231/2001, che pone a carico di coloro che “a qualsiasi titolo collaborano con l’ente, l’obbligo di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto, che in buona fede, sulla base della ragionevole convinzione fondata su elementi di fatto, ritengano essersi verificate, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte”. Per consentire ciò, vengono previsti, in via generale, la predisposizione di appositi canali di segnalazione che permettano di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante, il già visto (e forse superfluo) divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, collegati alla segnalazione, nonché un sistema sanzionatorio da adottare nei casi in cui si violino le disposizioni di cui sopra.

Jacopo Ierussi