Violazione del divieto di intermediazione di manodopera e omesso ripristino del rapporto di lavoro del committente: conseguenze economiche

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 2990 del 7 febbraio 2018, ha affermato il principio secondo cui in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera dell’utilizzatore determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni, a decorrere dalla messa in mora.
Attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 29 D.Lgs. 276/2003 e della disciplina generale del codice civile in tema di contratti a prestazioni corrispettive (artt. 1435 e ss.), le Sezioni Unite hanno, infatti, riconosciuto la natura retributiva, e non risarcitoria, dei compensi dovuti al lavoratore a seguito dell’accertamento dell’interposizione fittizia di manodopera, in ipotesi di impossibilità della prestazione per fatto imputabile al datore di lavoro, dovuto ad un suo illegittimo rifiuto.
Le Sezioni Unite hanno chiarito, altresì, che tutti i pagamenti effettuati dal somministratore a titolo retributivo e contributivo valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente, fino a concorrenza della somma effettivamente pagata, in applicazione dell’art. 29 comma 3 bis D.Lgs. 276/2003.
In conformità a tali principi e con riferimento alla fattispecie in esame, la Suprema Corte ha ritenuto non dovute le retribuzioni ad un gruppo di lavoratori – a cui era stata riconosciuta la natura subordinata del rapporto con la società utilizzatrice, per interposizione fittizia di manodopera in un appalto di servizi – dal momento che gli stessi avevano continuato a prestare l’attività lavorativa alle dipendenze della società appaltatrice, venendo retribuiti dalla stessa.