L’obbligo di repêchage non può imporre al datore di lavoro oneri sproporzionati

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 34132 del 20 dicembre 2019, ha statuito che, in caso di licenziamento di un lavoratore per inidoneità fisica sopravvenuta, sussiste un diritto di repêchage in favore di quest’ultimo limitatamente alle ipotesi in cui siano effettivamente presenti in azienda “posizioni lavorative libere e compatibili con le (sue) residue capacità lavorative”, non essendo il datore di lavoro tenuto a mettere in atto una ristrutturazione dell’organigramma aziendale pur di poter reimpiegare il suddetto dipendente.
A sostegno della propria decisione, la Suprema Corte, richiama l’art. 3, co. 3 bis, del D.lgs. n.216/2003, norma di recepimento dell’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE, secondo cui “al fine di garantire il rispetto della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli (…) nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori”.
I Giudici di legittimità hanno, pertanto, ritenuto che il datore di lavoro debba adottare ogni provvedimento utile al mantenimento in organico del lavoratore disabile, purché però ciò non comporti un “onere finanziario spropositato” per il datore stesso.