Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta se il datore di lavoro viola l’obbligo di verificare la possibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15002 del 25 maggio 2023, ha dichiarato illegittimo il licenziamento, intimato ad una lavoratrice per sopravvenuta parziale inidoneità fisica allo svolgimento delle proprie mansioni (nel caso di specie di operatrice socio sanitaria all’interno di una Cooperativa sociale), avendo il datore di lavoro violato l’obbligo di effettuare adattamenti organizzativi ragionevoli al fine di trovare una sistemazione adeguata alle condizioni di salute della lavoratrice.

Più precisamente, la Suprema Corte ha affermato che nell’ipotesi di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore e ove ricorrano i presupposti di applicabilità di cui all’art. 3, comma 3 bis del D.Lgs. n. 216/2003 (che prevede l’adozione di accomodamenti ragionevoli al fine di rispettare il principio della parità di trattamento dei lavoratori con disabilità), il datore di lavoro ha l’onere di provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso, ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 604/66, dimostrando, non solo, il sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore e l’impossibilità di adibirlo a mansioni (eventualmente inferiori) compatibili con il suo stato di salute, ma, altresì, l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli con la possibilità di assolvere tale ultimo onere mediante la dimostrazione di aver posto in essere atti o operazioni strumentali all’avveramento dell’accomodamento, tali da indurre nel giudice il convincimento che il datore di lavoro abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile al fine trovare una soluzione organizzativa appropriata in grado di evitare il licenziamento.