Il lavoratore può ottenere la ricostituzione del rapporto con il committente in caso di appalto non genuino e violazione della clausola di salvaguardia

Con sentenza n. 18945 del 10 luglio 2025, la Corte di Cassazione ha statuito che, per accertare la genuinità di un appalto cd. “leggero” (ossia quelli in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nella prestazione di lavoro), occorre valutare l’autonomia organizzativa dell’appaltatore, la sua capacità di gestione indipendente del personale e l’assunzione del rischio d’impresa, elementi non desumibili unicamente dal numero o dalla qualificazione degli addetti.

Nel caso esaminato, i lavoratori avevano domandato la ricostituzione del rapporto di lavoro con il committente, a causa della non genuinità del contratto di appalto, sostenendo l’assenza di autonomia gestionale dell’appaltatore e la violazione della clausola di salvaguardia prevista in un accordo sindacale, a seguito di plurimi passaggi societari ex art. 2112 c.c..

La Suprema Corte ha rilevato che il giudice di merito non aveva correttamente valorizzato le prove offerte dai ricorrenti in merito all’ingerenza del committente nell’organizzazione del lavoro e nella gestione del personale, cassando la decisione e rinviando la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame alla luce dei principi espressi. In particolare, secondo la Corte, affinché possa configurarsi un appalto genuino ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, soprattutto nelle ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa.