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Licenziamenti illegittimi nelle cd. “piccole imprese”: incostituzionale il limite massimo di sei mensilità dell’indennità risarcitoria

Con sentenza del 21 luglio 2025 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9, comma 1, d. lgs. n. 23/2015 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui stabilisce un limite massimo di sei mensilità all’indennità risarcitoria spettante ai lavoratori licenziati illegittimamente da datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, l. n. 300/1970 (non occupando più di quindici lavoratori presso un’unità produttiva o nell’ambito di un comune e comunque non più di sessanta dipendenti).

Come noto, l’articolo censurato, nel disciplinare le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo nelle “piccole imprese”, prevede due limitazioni rispetto alla tutela ordinaria: il dimezzamento dell’ammontare dell’indennità risarcitoria prevista dagli articoli 3, 4 e 6 del medesimo decreto (riferiti rispettivamente ai licenziamenti privi di giusta causa/giustificato motivo, a quelli formalmente viziati e all’offerta conciliativa) e il tetto massimo di sei mensilità della retribuzione utile al calcolo del trattamento di fine rapporto.

Secondo la Consulta si tratta di una forbice così esigua da non consentire di soddisfare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento e di garantire una funzione deterrente nei confronti del datore di lavoro.

Inoltre la richiamata tutela indennitaria non può trovare giustificazione solo nel numero limitato dei dipendenti, non essendo più tale criterio, isolatamente considerato, sufficiente a rivelare la minore forza economica del datore di lavoro – e quindi la sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi – dovendosi considerare anche altri fattori altrettanto significativi, quali il fatturato o il totale di bilancio.

La disposizione censurata, pertanto, risulta lesiva dell’art. 3, commi primo e secondo, Cost., in quanto: da un lato, disegna una tutela standardizzata e inidonea a coprire fattispecie di licenziamento connotate da vizi di differente gravità, trattando in modo sostanzialmente eguale anche situazioni concrete molto diverse; dall’altro, prevede un’irragionevole disparità di trattamento in situazioni simili fra i lavoratori alle dipendenze di imprese sopra e sotto la soglia dimensionale dei quindici dipendenti.

Secondo la Consulta, inoltre, la disposizione in questione viola altresì gli artt. 4 e 35 Cost., i quali, imponendo di tutelare il lavoro in tutte le sue forme, prescriverebbero un congruo indennizzo, anche per dissuadere il datore di lavoro dall’adottare licenziamenti illegittimi.

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, limitatamente alle parole «e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità».

Si ricorda che l’attuale decisione trova un precedente nel 2022 (sent. 183), in cui i Giudici delle leggi, pur rigettando per inammissibilità le questioni sollevate dal Tribunale di Roma sempre con riferimento all’art. 9, primo comma del D.lgs. n. 23/2015, avevano già evidenziato significative criticità sulla disciplina dei licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese e delle relative indennità e, pertanto, invocavano l’intervento del legislatore per riformare il cd. job act al fine di “tratteggiare criteri distintivi più duttili e complessi, che non si appiattiscano sul requisito del numero degli occupati e si raccordino alle differenze tra le varie realtà organizzative e ai contesti economici diversificati in cui esse operano”. Nella sentenza del 2022 la Corte rilevava altresì che non poteva esimersi dal segnalare che un ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe stata tollerabile e che l’avrebbe indotta, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente. E così è accaduto.

Tornando alla sentenza in esame, la conseguenza che ne deriva risiede nel fatto, che nelle cd. “piccole imprese”, in caso di licenziamento illegittimo di lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 – quindi con contratto a tutele crescenti – l’indennità risarcitoria potrà essere determinata dal Giudice tra un minimo di tre e un massimo di diciotto mensilità.

Nessun cenno, tuttavia, ha riservato la Consulta ai lavoratori delle “piccole imprese” assunti prima del 7 marzo 2015, ai quali continuerà ad applicarsi la disciplina previgente di cui all’art. 8, l. n. 604/1966, che, a sua volta, basandosi sul medesimo parametro dimensionale ora ritenuto inidoneo dalla Corte, prevede un tetto massimo di sei mensilità all’indennità risarcitoria da corrispondere in caso di licenziamento illegittimo.